A volte leggi sui giornali cose di cui non riesci a dimenticarti. Mi è capitato una settimana fa e il battito interiore si è fatto carico di questa vicenda. E' normale venire a conoscenza di storie come questa, che la nostra cultura sociale affronta come è raccontato nell'articolo e non accompagnare nel mio intimo questa giovane donna? Ma se mi penetra il cuore, la sua vita, come quella si mille altre persone in situazioni simili, può realmente eludere la luce dei miei occhi? Non è forse più vero che un cuore vivo pulsa fino ad intaccare il nostro sguardo esteriore e giunge a modificare le nostre azioni? Oppure siamo realmente divisi interiormente? Cioè abbiamo emozioni che non diventano mai carne e carne che non si muove se non per impulsi meccanici? Quante domande in questo Luglio afoso!!!
Laura è infelice. In un ultimo sussulto di libertà vuole emanciparsi dall'infelicità con la morte. Un tempo parlavamo di suicidio. Oggi abbiamo elaborato strutture pubbliche che accompagnano all'eutanasia. Non mi infilo in discussioni socio-politiche su questo tema. Mi interessa sempre la radice delle questioni. E la radice la trovo qui: una donna decide di lasciare questo mondo e noi non piangiamo, insieme, di fornte al dramma di una persona che sconquassa il senso della vita di tutti?
PERCHE'?????
Laura non è una giovane come lo siamo, lo siamo stati o lo saremo tutti? La sua persona è stata ferita, si, ma le ferite non uccidono direttamente. Indeboliscono, impoveriscono, invalidano... ma non uccidono. A me sembra che Laura non cerchi di morire per le ferite ricevute. Laura muore di solitudine. Non riesce a raccontare, non ha parole (e le parole si imparano e si ricevono da altri) per narrare la sua difficoltà. E' di mutismo che si muore. E nessuno nasce muto. Ci diventa. Quando i legami vengono recisi. La solitudine è la povertà del nostro tempo, dei nostri giovani.
La solitudine di chi non si sente compiutamente amato.
La solitudine di chi non trova qualcuno con cui piangere di questa tragedia.
La solitudine di chi non conosce amori di cui gioire.
La solitudine di chi non riesce a entrare in quella parte del cuore in cui la coscienza ti mostra che non saresti al mondo se fossi veramente solo/a.
La solitudine di chi trova davanti a sè una società che ti dà strumenti sempre migliori per fare tutto quello che desideri ma che non ti abbraccia mai: una società ridotta a norme, diritti, uffici e burocrazia che non ti invita mai a pranzo per amicizia.
La solitudine di chi ti porta al mare, in montagna, in bicicletta per portarti al mare, in montagna, in bicicletta ma non per stare con te.
Sta qui il punto, credo. Quello che mi rimbalza nel cuore è l'idea che oggi i giovani trovino con facilità mille cose da vivere ma non si trovino di fronte persone che desiderino stare con loro. Se c'è una debolezza da combattere oggi è questa.
E noi non abbiamo niente da dire in proposito? Non siamo noi i protagonisti di questa società? Non siamo noi coloro che hanno un'idea su tutto? Non siamo noi quelli che hanno una proposta da fare?
Si, lo siamo. E allora diciamo qualcosa.
E io dico che mi viene da piangere, mentre scrivo, pensando ad una 24enne che se ne va da questa terra aiutata ad andersene senza uno straccio di persona che pianga e si disperi per evitarle di andarsene: facendo "violenza" magari al suo depresso desiderio di morire da sola, ma mostrandole con forza che l'amore è anche in grado di essere forte, e non solo dolce.
Io voglio stare vicino a chi si sente solo perché nessuno nasce solo e muore solo a questo mondo. Solo per la legge sei un individuo. Per me sei una persona. E le persone guardano e sono guardate, gli individui sono un codice fiscale o una carta d'identità.
Ti cercherò in Paradiso, cara donna del Belgio, non vedo l'ora di abbracciarti e di dirti: che bello vederti, mi è dispiaciuto tanto non poterti salutare quando eri triste e raccontarti che siamo stati creati per la vita e non per la morte. Ho letto di te e volgio conoscerti, perché non siamo indifferenti.
Buon viaggio. A presto.