Nel precedente articolo (http://www.salesianimacerata.it/opinioni/quattro-mura-tesoro-da-scoprire.html) abbiamo parlato della casa e di quanto in essa ci sia “qualcosa di più”.
Girovagando tra le familiari mura, in cerca di una alterità non bene definita, una stanza in particolare, mi attrae tra le altre.
Spinto da un’inspiegabile e misteriosa forza, mi trovo senza accorgermene nella mia cameretta.
Ogni oggetto di arredamento presente in essa ha un suo perchè. In un armonioso e personalissimo caos gli spensierati giocattoli dell’infanzia si mescolano alle sudate carte dell’adolescenza.
Mi viene in mente come il mio intimo rifugio abbia ospitato diversissimi coinquilini inanimati, come nel tempo abbia assunto le forme più bizzarre. I poster tipici dell’adolescenza troneggiano ancora sopra la spalliera del mio letto, la bacheca originariamente fredda e spoglia si è colorata di avventure, sorrisi e ricordi.
In ogni angolo dove il mio sguardo si posa c’è un pezzo di mondo, un pezzo di ciò che sono stato, di ciò che sono e di ciò che sarò.
La camera di un adolescente infatti è lo specchio della sua acerba anima in subbuglio.
Un tema così delicato, questo, da spingere la fotografa Rania Matar a dedicarvi uno studio.
A Girl and Her room da cui ho tratto l’immagine dell’articolo nasce dall’esigenza della fotografa di capire i tumultuosi cambiamenti di sua figlia quattordicenne.
Matar decide così di fotografare le amiche della figlia mentre si preparano per uscire, mentre giocano nella casa, mentre vivono il delicato passaggio dall’innocenza della fanciullezza alla consapevolezza di essere donne.
Guardando con distacco quelle foto si accorse di aver colto qualcosa di veramente profondo.
Decise così di fotografare individualmente le ragazze, chiedendole dove preferissero essere ritratte.
Dopo che un paio di loro scelsero la cameretta la fotografa intuì il progetto che l’avrebbe resa famosa.
Guardando le adolescenti provenienti da tutto il pianeta (http://raniamatar.com/portfolio/girl-and-her-room/) mi sono stupito dei diversissimi mondi che le protagoniste hanno creato.
Sono stato rapito dallo sguardo di alcune di loro, da come esso fosse perfettamente concorde allo spazio che le circondava.
Pile di vestiti, vecchi giocattoli, semplici coperte, fotografie appese al muro, tutto in una semplice foto può diventare un indizio.
Indizi che servono a rispondere alla domanda che tutti abbiamo in testa: “Chi sono queste ragazze?”
Le foto stesse rispondono meglio di mille parole.
Personalizzare uno spazio attraverso “qualcosa” non è un’operazione così banale come può sembrare e per dimostrarlo vi propongo un altro gioco.
Individuate un luogo che frequentate malvolentieri. Iniziate ad abitarlo: un oggetto, una foto, un simbolo, possono avere effetti che non siamo capaci di concepire.
Spero che giocare vi piaccia!