Non posso fare a meno di continuare a riflettere sul senso di quello che stiamo vivendo ormai da un anno.
E’ profondamente necessario fare i conti con il dolore, con l’assenza, con la tristezza, con le incertezze, con il vuoto.
Si, proprio lui, il vuoto.
Un anno fa l’ho sperimentato sulla mia pelle, e come me moltissimi esseri umani nel mondo. Del resto è sempre stato così: quando perdi qualcuno con cui hai condiviso la vita, specialmente quella familiare, allora ti senti vuoto e senti intorno a te il vuoto.
L’istinto ci porta a lottare disperatamente per riempire quel vuoto con i “perché” che ci martellano la testa. Abbiamo il bisogno quasi fisico di trovare delle risposte decenti e soddisfacenti con le quali poter affrontare meglio quel vuoto, anzi per poterlo appunto colmare.
Qualcuno cerca di dirci, a fin di bene, che non dovremmo farci quella domanda “perché?”, che farsi quella domanda equivale a sprofondare ancora di più. Altri, sempre a fin di bene, ci suggeriscono delle risposte che avrebbero lo scopo di confortarci.
Difficilmente incontriamo qualcuno lungo quella strada tortuosa che stiamo tutti affrontando, che ci dica l’unica cosa che ci fa bene, vale a dire che “i perché” sono sacrosanti, sono un modo sano di vivere il dolore, sono essenzialmente umani, sono strumento di relazione con chi ci sta attorno, ma soprattutto con Dio Padre.
L’omelia di Don Flaviano per Roberto era anche per noi! E da quelle parole non possiamo, non posso, non comprendere che una risposta a quella domanda non c’è, semplicemente non è contemplata nel modo in cui ci aspetteremmo, succede punto e basta!
E come la mettiamo con la disperazione?! Resterebbe solo lei a governare i nostri cuori con mille domande e zero risposte. E soprattutto quel vuoto
resterebbe sempre e comunque vuoto.
Forse il problema sta proprio qui: non ha senso riempire quel vuoto. Sicuramente non con risposte che non esistono, nemmeno con le sole domande, seppur legittime e profondamente umane.
Forse quel vuoto deve rimanere tale per permettere al Signore di riempirlo di senso. Quel vuoto può diventare paradossalmente il luogo in cui coltivare la relazione con la persona che abbiamo amato; può rappresentare lo spazio spirituale di connessione mai interrotta con il nostro caro. Non un qualcosa da riempire, ma un vuoto da preservare appositamente per continuare ad amare e ad essere amati.
“Signore dammi la forza di abitare quel vuoto che fa tanto male, dammi la grazia di sentirne la presenza. Lascialo vuoto perché io possa percepire la pienezza che esso nasconde!”
Ci viene spesso ricordato che siamo fatti per il Paradiso e che stiamo semplicemente viaggiando come pellegrini sulla Terra verso una meta che abbiamo tutti inscritta come un marchio di fabbrica. San Paolo lo sottolinea chiaramente quando dice che siamo tutti pre-destinati, ovvero creati per condividere il massimo immaginabile, il Paradiso.
Questa è la certezza, più che la consolazione, di sapere che il vuoto che ci fa tanta paura e che sprigiona dolore e rabbia, in realtà può essere vissuto come un Pieno di amore, per grazia di Dio.
A me sembra di poter dire, dopo tante crisi, che questo anno ci sta insegnando questo e che la morte di Roberto, il dolore della sua famiglia e della sua Comunità, possano trovare senso solo con questa certezza.
Grazie a coloro che ce lo ricordano spesso e che lo devono insegnare ai giovani che hanno la missione di educare.
Arrivederci Roberto.
( di Antonio Carlini)